Nel corso degli ultimi anni si è sentito parlare sempre di più di Disturbi specifici dell’Apprendimento, chiamati più comunemente con la sigla DSA.
L’interesse generale, molto spesso, verte attorno alle procedure diagnostiche, alle modalità di intervento per il potenziamento o l’uso degli strumenti compensativi per migliorare l’autonomia di bambini e ragazzi a livello scolastico.
Un aspetto altrettanto importante, anche se talvolta messo in secondo piano, è quello delle implicazioni a livello emotivo e motivazionale connesse alla presenza di disturbi dell’apprendimento.
Diversi studi hanno individuato diversi effetti sulla sfera emotivo-motivazionale in presenza di disturbi dell’apprendimento. Nello specifico, sono state riscontrate importanti differenze nei bambini e ragazzi con DSA rispetto ai loro compagni in molteplici aree, come:
Ansia scolastica si rileva che il 70% degli studenti con DSA sperimenta sintomi d’ansia, quali pensieri anticipatori di insuccesso, paura di sbagliare e di fallire, timore del giudizio da parte dei compagni e un eccessivo criticismo nei propri confronti;
Regolazione delle emozioni gli studenti con DSA tendono ad avere delle strategie meno efficaci per gestire i propri vissuti emotivi, come l’incertezza o la paura di non riuscire ed utilizzano prevalentemente risposte di tipo passivo o aggressivo;
Autostima scolastica si registrano livelli inferiori di autostima negli studenti con DSA rispetto ai pari con sviluppo tipico, in particolare nell’ambito scolastico. Ciò è dovuto spesso ai vari insuccessi che i ragazzi sperimentano e dallo scarso apprezzamento mostrato dagli altri, con voti o riconoscimenti non soddisfacenti;
Autoefficacia scolastica bambini e ragazzi con DSA tendono a reputarsi meno capaci di affrontare i compiti o le situazioni di apprendimento con successo rispetto ai propri compagni;
Resilienza gli studenti con DSA tendono ad abbattersi e a svalutarsi più facilmente di fronte agli insuccessi e alle frustrazioni e a mostrare reazioni ansiose di fronte alle difficoltà. Tale aspetto è legato alla percezione di sé come persona di valore e abile, che risulta essere piuttosto carente nei bambini e ragazzi con disturbi dell’apprendimento.
Un ulteriore aspetto cruciale riguarda le convinzioni di modificabilità circa la propria intelligenza e le proprie modalità di apprendimento. A tal proposito si distinguono due diversi approcci: una convinzione detta entitaria, caratterizzata dalla credenza che la propria intelligenza non possa evolvere né migliorare nonostante lo sforzo o l’impegno, che si distingue dalla convinzione definita incrementale, secondo cui l’esperienza e l’impegno possono portare a dei miglioramenti e a delle modificazioni positive della propria intelligenza e delle proprie abilità.
Le ricerche evidenziano che gli studenti con DSA possiedono tendenzialmente una convinzione di tipo entitario, per cui si convincono del fatto che “sono fatto così e non potrò mai cambiare, nemmeno se mi impegno”.
A ciò si aggiunge uno stile attributivo (cioè la modalità con cui una persona abitualmente spiega il successo e l’insuccesso) spesso poco funzionale, che attribuisce il successo a fattori esterni, come la fortuna o la facilità di un compito, e invece l’insuccesso viene spiegato come una mancanza di abilità. L’insieme di questi aspetti può portare frequentemente ad un circolo vizioso che prende il nome di impotenza appresa, che si esprime chiaramente con frasi del tipo “Tanto non sono capace, è inutile che ci provo” o “Non posso farci nulla, non è colpa mia, non ci provo nemmeno”. In questo circolo, quindi, le difficoltà e i numerosi insuccessi sperimentati dagli alunni con DSA portano alla convinzione di non essere in grado di farcela e di non poter migliorare in alcun modo, ciò porterà a sua volta ad una riduzione dell’impegno e talvolta ad un evitamento del compito, conducendo nuovamente ad una prestazione inadeguata e quindi ad una conferma delle proprie credenze iniziali di incapacità e inadeguatezza.
Se il vostro bambino, sin dai primi anni della scuola primaria, manifesta difficoltà nell’acquisizione degli apprendimenti di base, quali la lettura, la scrittura e le abilità matematiche o se sospettate la presenza di un possibile disturbo dell’apprendimento, è importante procedere con una valutazione neuropsicologica e degli apprendimenti per individuare precocemente le aree di difficoltà e intervenire con un percorso di potenziamento individualizzato e mirato. In questo modo, infatti, è possibile aiutare i bambini e i ragazzi a conoscere il proprio funzionamento e ad accettare le proprie caratteristiche, acquisendo strategie e strumenti per compensare le difficoltà, per favorire la propria autonomia e sperimentare maggiori successi, sostenendo così l’autostima e favorendo un maggiore senso di autoefficacia scolastica.
La presa in carico dell’alunno con DSA e della famiglia da parte di un professionista degli apprendimenti è fondamentale per disinnescare questi meccanismi cognitivi ed emotivi disfunzionali, per favorire il benessere generale e garantire un percorso di apprendimento positivo.
Bibliografia
C. Cornoldi, “I disturbi dell’apprendimento – seconda edizione”, il Mulino
Come tutti gli ambiti di sviluppo del bambino, anche il gioco si modifica nel tempo e si osserva un graduale aumento delle competenze richieste sia dal punto di vista “motorio” che “cognitivo”.
I primi comportamenti di gioco osservabili riguardano l’esplorazione orale e la manipolazione semplice, in cui il bambino porta gli oggetti alla bocca o li manipola con semplici azioni, che gli permettono di conoscere ad esempio la forma, la consistenza e la temperatura dei diversi oggetti. Successivamente si passa al gioco funzionale, in cui il bambino impara ad utilizzare una manipolazione specifica rispetto agli oggetti coinvolti, ad esempio premere i tasti di un telefono-giocattolo o far correre una macchinina, associando in questo modo la forma del gioco in questione alla sua funzione.
Il livello di sviluppo successivo è rappresentato dal gioco di finzione semplice, con comportamenti di gioco di finzione compiuti verso di sé e/o gli altri (ad esempio far finta di bere dalla tazza o dare da bere con la tazza alla bambola) ed infine al gioco di finzione complessa, che rappresenta il livello più alto di astrazione e simbolizzazione e comprende azioni come le sostituzioni degli oggetti coinvolti (ossia far finta di bere da un cappello ad esempio) e le attività di gioco simbolico combinatorio, in cui si susseguono attività di finzione singole e in sequenza, rappresentando le stesse azioni in maniera sempre diversa.
In particolare, quest’ultimo livello di sviluppo del gioco, il cosiddetto gioco di finzione o gioco simbolico, è altamente correlato al linguaggio.
L’alta correlazione è legata al fatto che durante le azioni compiute con gli oggetti il bambino è portato a produrre vocalizzi, parole e/o frasi (in base all’età e al livello di sviluppo del linguaggio), a cui il caregiver di riferimento, che condivide con il bambino il momento di gioco, può dare dei feedback di ripetizione, espansione, estensione etc., che fungono da importanti modelli per la comprensione e la successiva produzione del linguaggio.
In particolare il gioco simbolico è correlato ad un livello specifico del linguaggio, ossia la competenza narrativa. Con questa condivide lo stesso percorso evolutivo: come il gioco simbolico inizialmente è costituito da una combinazione casuale di azioni, che diventano poi sequenze ordinate, per rappresentare infine eventi quotidiani, allo stesso modo la competenza narrativa passa dalla descrizione di eventi non correlati tra loro, a sequenze di azioni correlate ma non orientate a uno scopo, fino ad eventi orientati da uno scopo comune.
Anche a livello teorico gioco simbolico e competenza narrativa sono altamente collegati, in quanto in entrambi i casi il bambino deve separare l’entità reale e quella mentale: nel gioco simbolico e nella narrazione ci si riferisce sempre a soggetti/azioni etc. non realmente presenti in quel momento, si assumono ruoli non reali e si comprendono i punti di vista dei diversi personaggi.
È per tutta questa serie di motivi che risulta molto importante favorire l’attività ludica dei nostri bambini già entro l’anno di vita, in tutti i contesti quotidiani, in quanto assistere e sperimentare comportamenti verbali e non verbali che permettono al bambino di prestare attenzione e apprendere informazioni sull’uso degli oggetti, comporta lo sviluppo di comportamenti di gioco sempre più elaborati e un conseguente progresso delle abilità cognitive generali, tra cui anche il linguaggio.